24-25.5.25 – Clinica delle rotture amorose (EVENTO - CONVEGNO SLPcf)
Presentazione del XXII convegno nazionale della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi del campo freudiano (SLPcf) - di Adele Succetti
Scrive Adele Succetti, presentando il XXII Convegno della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi del Campo freudiano (SLP-CF):
Il capitalismo non si occupa, diceva Lacan, dell’amore e delle cose amorose… eppure, ancora oggi, in un mondo in cui le logiche del capitalismo, gli sviluppi della scienza e i suoi prodotti tecnologici hanno invaso ogni spazio, ci si innamora di un altro, di un’altra, di altri, in modalità forse diverse rispetto al passato. E il lettino dell’analista è il luogo in cui, talvolta, si parla dell’amore e delle sue difficoltà. Spesso, infatti, è la perdita di un amore, la rottura di una relazione, il lutto impossibile o meno ciò che spinge a chiedere, nell’urgenza, di incontrare un analista, oppure l’impossibilità a lasciare, a rompere, cioè a perdere qualcosa di quella relazione. In altri casi, invece, si crede di chiedere un aiuto per ristabilire una relazione mentre, di fatto, il desiderio inconscio va in tutt’altra direzione….
Se l’amore, l’Eros, è ciò che tende ad unire due o più persone, possiamo dedurre, da un lato, che l’amore è ciò che fa legame con l’altro, nell’Altro, e, dall’altro, che senza l’amore, l’essere parlante non è naturalmente spinto ad esso. Perché ci sia legame, infatti, è necessario mettere in gioco, ed ammettere, la propria mancanza – l’amore, dice Lacan, in una formula ormai arcinota, è dare quello che non si ha[1], un segno cioè della propria mancanza. La mancanza iscrive il luogo in cui si colloca l’altro, e permette di unire, di legare, quello che, di fatto, potrebbe invece restare chiuso nel proprio godimento autoerotico. In questo senso possiamo intendere l’affermazione di Lacan secondo cui l’amore “permette al godimento di accondiscendere al desiderio”[2], vale a dire all’Altro del desiderio, al desiderio dell’Altro. Il problema però è il fatto che la mancanza dell’uno non coincide mai con la mancanza dell’altro: c’è sempre una beanza tra le due mancanze, che fa sì che l’amore, quando si produce, “supplisca al non rapporto sessuale”, venga cioè a porre un velo sulla sua inesistenza.
A partire dal suo statuto narcisistico (si ama il proprio ideale, colui a cui si suppone di avere quello che ci manca), l’amore permette di negare in un qualche modo la castrazione e per questo viene a velare, come dice Miller, “l’inadeguatezza della consistenza del corpo”. L’amore, però, deve fare i conti con il fatto che due non fanno mai uno. Come dice Lacan nel suo Seminario Les non-dupes errent, “l’amore sono due metà-dire che non si ricoprono. Ed è questo che ne fa il carattere fatale. É la divisione irrimediabile […]. È la connessione tra due saperi in quanto sono irrimediabilmente distinti. Quando si produce, fa qualcosa di […] assolutamente privilegiato”[3]. Questo significa che l’amore è dell’ordine della contingenza, è un legame estremamente fragile, che si mantiene sul bordo di un buco che, a un certo punto, può venire alla luce precisamente nelle situazioni di difficoltà o di rottura.
Ma cosa intendiamo con il termine rottura? Rottura – come possiamo leggere nella Treccani – deriva dal latino rŭmpĕre «rompere» – e sta ad indicare l’azione di rompere, il fatto di rompersi o di venire rotto; la cosa stessa e la parte rotta. Interessante, a questo proposito, notare che il verbo rompere si usa sia per il fatto di rompere qualcosa (un soggetto rompe qualcosa) sia quando qualcosa si rompe… in senso impersonale. Nelle espressioni volgari o eufemistiche la “rottura” indica anche “grave noia, fastidio, molestia o seccatura”. In effetti, è necessario un grande fastidio, un “disequilibrio” perché si decida di provare a capirne e a dirne qualcosa a qualcuno, in un’analisi.
Nel linguaggio comune, ad ogni modo, il termine rottura è connotato quasi sempre negativamente. Per la psicoanalisi, invece, la rottura ha tutt’altra connotazione: essa, infatti, sta al cuore stesso del soggetto, apre una discontinuità quando si manifesta l’esperienza dell’inconscio[4], quando la consistenza immaginaria del corpo viene meno lasciando emergere qualcosa del reale pulsionale… E anche la pratica analitica opera attraverso delle rotture: la rottura dell’omeostasi del sintomo, la rottura che l’interpretazione produce nella catena significante quando dissocia un significante dall’altro, ecc. Come segnala Jacques-Alain Miller nel suo Corso Ce qui fait insigne, l’interpretazione “sposta la rottura che è quella che esclude il soggetto dall’oggetto a, che rompe la formula del fantasma, che mette a distanza il fantasma, vale a dire il modo d’essere implicato dall’inconscio e dal discorso del padrone”[5]. La rottura, quindi, è necessaria… perché un cambiamento sia possibile. E, in effetti, anche la formazione dell’analista è il prodotto di una serie di rotture, di punti di discontinuità che iscrivono, per ognuno, il luogo del proprio non-sapere.
Cosa dire, quindi, della “clinica delle rotture amorose”, che sarà il tema di lavoro del prossimo Convegno Nazionale della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi del Campo freudiano?
Se per Freud, la famiglia si fonda sul “rifiuto di separazione”, che si declina, a seconda dei sessi, nel rifiuto, per l’uomo di separarsi da una donna, mentre per la donna, nel rifiuto di lasciare la parte di sé costituita dal figlio, è importante interrogarsi sulle coordinate in cui si producono oggi, caso per caso, le rotture amorose. La rottura è una conseguenza oppure è la causa del disagio del soggetto che viene a parlarcene? Che cosa ha prodotto la rottura, in che modo si è prodotta e, soprattutto, che cosa fa emergere? In effetti, se l’amore supplice all’inesistenza o all’assenza del rapporto sessuale, possiamo supporre che il momento di rottura faccia emergere, in modo più evidente, il tipo di vuoto che abita il soggetto. Si tratta di una perdita dialettizzabile, soggettivabile, oppure la perdita trascina con sé anche il soggetto, mostrando così la sua funzione di stampella? In altri termini, è possibile, per il soggetto, elaborare il lutto, fare cioè il lavoro di elaborazione simbolica necessario per restaurare il suo rapporto con il suo vero oggetto, l’oggetto a, di modo che il desiderio possa attivarsi di nuovo?
Nell’epoca in cui – anche grazie ai prodotti della scienza – il parlessere è sempre più solo con i propri oggetti, sempre più alle prese con il proprio godimento autistico, in cui l’alterità è negata o rifiutata, in che modo il soggetto vive ed inventa la propria relazione amorosa? In che modo, inoltre, i significanti-padroni contemporanei che, come ha indicato Jacques-Alain Miller durante l’ultimo Congresso dell’Associazione Mondiale di Psicoanalisi, rinviano al binomio immaginario dominante-dominato, carnefice-vittima, e a quella che oggi assume la forma di una vera e propria guerra fra (tutti) i sessi, influenza le relazioni d’amore e le difficoltà che i soggetti hanno ad accettarne la fine e ad elaborarne quindi la rottura?
Rispetto alle “rotture amorose”, la pratica analitica offre il transfert come un’altra forma di amore, un amore che permette all’analizzante di elaborare la propria perdita, o la propria difficoltà a perdere, di estrarre i significanti che lo hanno segnato e che, in un qualche modo hanno iscritto qualcosa di reale nel suo corpo. Il transfert, però, introduce nella coppia analista-analizzante una sovversione in quanto, come scrive Lacan, “si dà un partner che ha probabilità di rispondere, cosa che non avviene nelle altre forme”[6]. Anche in questa circostanza, come nell’amore, molto dipende dal caso, dalla fortuna, ma non solo perché, dice ancora Lacan “l’occasione proviene da me e sta a me fornirla”. L’analista può fornire tale occasione occupando il posto dell’oggetto a, da cui opera, per rendere operative e feconde le rotture.
Nel prossimo Convegno della SLP avremo la possibilità di sentire in che modo oggi gli psicoanalisti forniscono a quanti si rivolgono loro l’occasione di una sovversione.
Adele Succetti
[1] J. Lacan, Il Seminario, Libro VIII, Il transfert, Einaudi, Torino, 2008, p. 39.
[2] J. Lacan, Il Seminario, Libro X, L’angoscia, Einaudi, Torino, 2007, p. 209.
[3] J. Lacan, Le Séminaire, livre XXI, « Les non-dupes-errent », leçon du 15 janvier 1974, inédit.
[4] J. Lacan, Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 2003, p. 27: “l’uno introdotto dall’esperienza dell’inconscio è l’uno della fessura, del tratto, della rottura”.
[5] J.-A. Miller, Ce qui fait insigne, Cours de l’Orientation lacanienne, cours du 21 janvier 1987, inédit.
[6] J. Lacan, “Introduzione all’edizione tedesca degli Scritti”, Altri scritti, Einaudi, Torino, 2013, p. 550.
Maggiori informazioni su https://xxiiconvegno2025.slp-cf.it/ e su www.slp-cf.it.
Al tema dell’amore e del non rapporto tra i sessi è dedicato anche questo intervento sul mio blog.