ADHD (disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività): cos’è, cause, sintomi, diagnosi e terapia per adulti e bambini
Cos’è l’ADHD?
Cosa significa ADHD?
L’ADHD, o disturbo da deficit di attenzione e iperattività, è una condizione di cui oggi si parla molto, sia in ambito clinico che mediatico. Si tratta di una diagnosi che descrive un insieme di comportamenti caratterizzati da difficoltà di attenzione, impulsività e iperattività. In Italia, secondo alcune stime e statistiche epidemiologiche, circa il 5% dei bambini e una percentuale minore ma significativa di adulti presenterebbero sintomi riconducibili all’ADHD.
Emblematica è la presenza di contenuti sull’ADHD presenti nei social network come Instagram o TikTok, indice del fatto che si tratta di un argomento molto ricercato e dibattuto, un’etichetta diagnostica che ha trovato molta risonanza anche nel pubblico di non addetti ai lavori, similmente al tema del narcisismo, delle dipendenze affettive e delle cosiddette “relazioni tossiche”.
Nel linguaggio comune, il termine ADHD viene spesso associato a difficoltà scolastiche o lavorative, disorganizzazione, distrazione, agitazione o impulsività. Tuttavia, l’esperienza soggettiva dell’ADHD può essere molto diversa da persona a persona: per alcuni prevalgono la disattenzione e la fatica a concentrarsi, per altri l’irrequietezza o la sensazione di vivere “a mille”.
L’ADHD come neurodivergenza
L’ADHD viene oggi annoverato nel più ampio concetto di neurodivergenza, un termine coniato dall’attivista Kassiane Asasumasu con l’obiettivo di superare una visione della sofferenza psicologica dualista normale vs patologico (vedi su questo il mio articolo su Franco Basaglia e l’antipsichiatria) in favore di un principio di inclusività. “Neurodivergenza” significa neurologicamente divergente dal tipico, e indica i diversi modi in cui il cervello può funzionare in maniera coerente ma differente rispetto alla norma statistica: in questo modo si evita di etichettare come malattia una certa condizione. Nell’ICD-11 e nel DSM-5 le neurodivergenze sono classificate come disturbi del neurosviluppo. Tra le neurodivergenze riconosciute più frequentemente troviamo l’ADHD, l’autismo, la plusdotazione e i disturbi specifici dell’apprendimento (DSA). Rimane invece oggetto di dibattito se condizioni come il disturbo bipolare, il disturbo ossessivo-compulsivo, il disturbo borderline di personalità, i disturbi d’ansia e la depressione possano essere considerate forme di neurodivergenza, e quali criteri dovrebbero guidare questa classificazione.
L’ADHD secondo il DSM-5
Nel DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), l’ADHD è classificato tra i disturbi del neurosviluppo. I criteri diagnostici della sindrome ADHD includono difficoltà persistenti di attenzione, impulsività e/o iperattività che interferiscono con il funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.
Il DSM distingue tre forme principali di ADHD:
ADHD inattentivo, in cui prevalgono la distrazione e la scarsa concentrazione;
ADHD iperattivo-impulsivo, caratterizzato da irrequietezza e difficoltà a controllare gli impulsi;
ADHD combinato, quando sono presenti entrambe le componenti.
Negli ultimi anni si parla sempre più anche di ADHD adulto, poiché molte persone riconoscono in sé difficoltà di attenzione e organizzazione solo in età avanzata. Inoltre, si è posta attenzione alla specificità dell’ADHD nelle donne, spesso meno visibile perché caratterizzato da sintomi più interni e meno visibili, come la disattenzione o la tendenza a perdersi nei pensieri, piuttosto che da iperattività manifesta.
Giochi di bambini è un dipinto a olio su tavola di Pieter Bruegel il Vecchio, datato 1560 e conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna.
Cause dell’ADHD
Le cause dell’ADHD vengono generalmente attribuite a una combinazione di fattori genetici, neurobiologici e ambientali. Alcuni studi indicano una predisposizione familiare, altri sottolineano il ruolo dello stress precoce, delle dinamiche relazionali e del contesto educativo.
Tuttavia, nella prospettiva psicoanalitica, l’ADHD non viene concepito unicamente come un disturbo neurobiologico, ma come un modo singolare con cui un soggetto risponde alle difficoltà del suo mondo interiore e del suo rapporto con l’Altro familiare e sociale.
Sintomi dell’ADHD
I sintomi dell’ADHD possono variare notevolmente da persona a persona e cambiare con l’età.
Sintomi dell’ADHD nei bambini
Difficoltà a concentrarsi su compiti o giochi
Facile distraibilità
Eccessiva attività motoria o difficoltà a stare seduti
Impulsività (interrompere, rispondere prima che l’altro finisca, difficoltà ad aspettare il proprio turno)
Scarsa organizzazione e frequente perdita di oggetti
Sintomi dell’ADHD nell’adulto
Molti adulti scoprono solo tardi di riconoscersi nei sintomi dell’ADHD adulto. Spesso si tratta di persone che descrivono una sensazione di confusione, di avere “troppe cose in testa”, o di non riuscire a portare a termine ciò che iniziano. I sintomi più frequenti sono:
difficoltà di concentrazione e pianificazione
disorganizzazione cronica
procrastinazione
impulsività nelle relazioni o nelle decisioni
senso di inadeguatezza e calo dell’autostima
In particolare, ADHD e autostima sono spesso collegati: anni di difficoltà non riconosciute o di rimproveri ricevuti (a scuola o al lavoro) possono generare un’immagine di sé fragile e svalutata.
I sintomi dell’ADHD nelle donne adulte
L'ADHD, o Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività, si manifesta spesso in modo diverso nelle donne rispetto agli uomini, risultando in una sottodiagnosi o diagnosi tardiva. Spesso i sintomi dell’ADHD nelle donne tendono a essere meno visibili, prevalendo la disattenzione e la disregolazione emotiva, mentre l'iperattività e l’impulsività possono essere meno marcate.
I sintomi principali nell'adulto dell’ADHD femminile includono difficoltà nell'organizzazione, problemi di gestione del tempo e frequenti dimenticanze. A livello emotivo, si manifestano elevata sensibilità, stress, stanchezza cronica e un profondo senso di sopraffazione. Questa lotta costante, spesso volta a "mascherare" la condizione per aderire alle aspettative sociali, contribuisce a una bassa autostima e un forte senso di colpa.
La diagnosi è complicata dal fatto che i sintomi atipici e la tendenza a interiorizzarli portano spesso a diagnosi errate preliminari come ansia o depressione, le cosiddette comorbidità, che oscurano l'ADHD.
Illustrazione stilizzata dell’ADHD in una donna. Molte ricerche evidenziano una differenza dell’ADHD nelle donne adulte rispetto all’ADHD negli uomini adulti.
ADHD: test per la diagnosi e terapia
Diagnosi dell’ADHD, test e questionari
La diagnosi di ADHD negli adulti e nei bambini può includere test psicologici per l’ADHD e questionari clinici per valutare attenzione, impulsività e organizzazione, sempre inseriti in un percorso psicologico professionale. Numerosi sono i test ADHD, tra gli strumenti più utilizzati con i bambini vi sono le Scale Conners e la Wechsler Intelligence Scale for Children (WISC), usata per individuare le difficoltà cognitive associate al disturbo.
Trattamento farmacologico
Il trattamento convenzionale dell’ADHD, secondo l’approccio medico, può prevedere l’uso di farmaci stimolanti tipo Ritalin o di altre sostanze che agiscono sulla regolazione dopaminergica e noradrenergica. Tali farmaci possono aiutare a migliorare la concentrazione e ridurre l’impulsività, ma non affrontano le cause soggettive del disagio né il modo in cui il soggetto vive la propria esperienza.
Psicoterapia dell’ADHD
Sul piano psicologico, esistono vari approcci: le terapie cognitivo-comportamentali propongono strategie per migliorare la gestione del tempo, l’organizzazione e la regolazione emotiva. Si tratta di approcci che vedono il sintomo come disfunzione da eliminare o gestire.
ADHD e psicoanalisi lacaniana
Dal punto di vista psicoanalitico lacaniano, l’ADHD non è un’entità clinica autonoma, ma la descrizione fenomenologica di una modalità attraverso cui si esprime un disagio sempre singolare. La cura e il trattamento dell’attention deficit and hyperactivity disorder (ADHD) in psicoanalisi avviene mettendosi in ascolto del soggetto, interrogando e favorendo un’elaborazione sulla sua modalità di interazione con gli altri, con se stesso e il mondo. Ogni caso di ADHD è diverso anche se mostra esteriormente delle somiglianze, così come ogni depressione, pur essendo sempre contraddistinta dalla presenza di un calo dell’umore, ha un senso, una ragione sempre diversi nelle diverse storie di vita in cui compare come sintomo. La psicoanalisi si interessa a ciò che differisce per ciascun soggetto che riceve una certa diagnosi clinica, non si ferma alla diagnosi, che sia di depressione, ansia e ansia sociale, attacchi di panico, fobie o altro.
Nella prospettiva psicoanalitica orientata dal pensiero di Jacques Lacan e Sigmund Freud, il sintomo non è un errore da correggere ed eradicare, ma va prima di tutto ascoltato in quanto messaggio, ha dunque un suo valore, e il trattamento dell’ADHD in psicoanalisi avviene a partire da questo ascolto, analogamente a quanto avviene rispetto al trattamento dell’angoscia.
Conclusioni
L’ADHD è oggi una diagnosi molto diffusa. Se da un lato la diagnosi di ADHD offre una cornice di senso e un sollievo; per altri, rischia di diventare un’etichetta riduttiva. Comprendere la propria storia, il proprio modo di essere e le proprie difficoltà specifiche rimane essenziale.
Chi si interroga su questo tema può rivolgersi a uno psicologo esperto in ADHD o a uno psicologo ADHD a Roma. L’incontro con un professionista può aiutare a dare un nome alla propria esperienza, ma anche — e soprattutto — a costruire un nuovo modo di pensare e vivere la propria vita. Il lavoro di uno psicoanalista orientato dall’insegnamento di Lacan non mira alla gestione del sintomo dell’ADHD, ma favorisce l’emergere di un’interrogazione su di sé a partire da quel sintomo che produce sofferenza, affinché quel sintomo possa affievolirsi perché non più necessario. L’obiettivo di una psicoanalisi lacaniana è il cambiamento del soggetto nel suo rapporto con ciò che il sintomo esprime a sua stessa insaputa, così che il miglioramento della sofferenza sia duraturo, laddove altre terapie potrebbero correggere il problema da una parte senza affrontare le cause profonde che hanno innescato l’emergere del problema, che potrebbe ripresentarsi altrove, come già notava Freud. Il sintomo che fa soffrire è in questo senso simile a un allarme anti-incendio: per quanto il segnale acustico possa essere fastidioso, la cura non può essere il suo silenziamento, ma l’affrontare l’incendio che divampa che il sintomo segnala.